VICENS OLIVÉ ILLUSTRA LA TECNICA DE “LA LINEA DEL TEMPO”, da “Guestalt de Vanguardia” di Claudio Naranjo (La Llave, 2002)
Questa è la parte di una relazione su un libro a me caro:”Gestalt de Vanguardia” di Claudio Naranjo (La LLave, 2002).
Il capitolo si intitola:”VICENS OLIVÉ ILLUSTRA LA TECNICA DE “LA LINEA DEL TEMPO” “, scritto dal gestaltista Vicens Olivé.
Vicens dedica parte del paragrafo alla spiegazione delle “idee pazze” o “credenze limitanti” che si apprendono attraverso tre diverse esperienze.
La prima è un’esperienza traumatica importante e significativa, per esempio se ci scottassimo con la fiamma di una candela, apprenderemmo per tutta la vita che quella cosa calda e luminosa ci può scottare. Quindi non è necessario toccare la fiamma un’altra volta per capire che scotta. Questo è un buon apprendimento per la sopravvivenza.
Mentre, se un giorno mia madre mi sgrida severamente, per lo stesso meccanismo potrei pensare che è meglio non fidarsi più delle donne. Ma un esperienza contrapposta potrebbe cambiare il significato della precedente, per esempio se mia madre in un altro momento mi accoglie con affetto lì potrei riorganizzare il mio apprendimento.
La seconda forma di acquisizione di un’idea pazza è attraverso la ripetizione, per esempio se un genitore continua a dire al figlio”ha, tu non capisci”, “è che sei sciocco”,”vedi che non capisci”,”ti rendi conto che non ci fai caso”,”è che sei sciocco”,”vedi, che non ti rendi conto”, e non lo ripetono una volta, ma più volte e magari durante un anno intero. Alla fine un figlio comincerà a credere a quello che gli sta dicendo il genitore per tanto sentire quelle parole, e nel linguaggio della M.Klein il figlio introietta il seno cattivo.
La terza modalità di apprendimento (e qui fa un gioco di parole perché se nella parola spagnola “aprender” aggiungiamo una “h” diventa “aprehender” e significa “arrestare”) avviene attraverso il modellamento ed è la forma più delicata e più inconscia in cui ci imbattiamo.
Da quando siamo concepiti a quando nasciamo e cominciamo a crescere, le persone che ci stanno vicino, i nostri genitori, con i loro caratteri, le loro maniere e i loro comportamenti diciamo che ci “plasmano” nel senso che cominciamo a copiare tutto ciò che loro ci hanno mostrato per sentirci amati perché diventa un modo per sentirsi accettati. Copiamo incoscientemente i nostri genitori perché per noi sono come degli dei.
Sappiamo che una credenza è un idea vera per una persona però tale idea è vera oggettivamente o è solo una forma parziale di vedere il mondo?
È ovvio che è una forma parziale di vedere il mondo, ma purtroppo individualmente la percepiamo come la unica, essendo parte della propria persona; e chiaramente gli altri avendo vissuto altre esperienze non la penseranno come noi.
Ma chi si sta sbagliando? Noi o gli altri diversi da noi?
Immancabilmente sarà sempre l’altro a sbagliarsi perché la nostra credenza, essendo le nostre, non ci appaiono bizzarre, contrariamente si che potremo vedere la pazzia nel carattere dell’altra persona, a meno che non cominciassimo a metterci in questione e a vedere la pazzia in noi stessi.
Per vivere e per dare un significa a ciò che viviamo abbiamo bisogno di crearci un nostro sistema di credenze, costituito da idee, opinioni, credenze, criteri, valori, emozioni, decisioni e la terapia esiste nel momento in cui si va a cambiare tale sistema di credenze, “la credenza è come una lente colorata che tieni davanti agli occhi e vedrai dello stesso colore a meno che non togli la lente”.
In PNL esiste l’affermazione che “la mappa non è il territorio”, ovvero che una cosa è come una persona percepisce ciò che sente e che vive, un’altra cosa è l’esperienza oggettiva in sé. Da lì Vicens trova l’importanza della meditazione attraverso la quale ci si può porre ad un livello in cui non esistono credenze, dove non si vede attraverso alcun filtro, dove nulla è conosciuto e dove non c’è nessun apprendimento esperienziale del passato, quindi uno stato di “non ego” che è uno stato molto difficile da perseguire, visto che il nostro ego si espande in tutta la nostra persona , cosciente e incosciente.
E ci si potrebbe dunque ricollegare al discorso di Perls nel capitolo di Zerbetto dove parla del lavoro del terapeuta che deve imparare ad attuare come un “facilitatore” in assenza del proprio ego.
Attraverso la terapia è possibile arrivare alla formazione di idee sane, che non sono altro che credenze aperte a nuove opinioni migliorie più attuali rendendo ogni volta più possibile la congruenza tra la mappa e il territorio.
Per esempio la credenza “Non ci si può fidare degli uomini” potrebbe rendere possibile la credenza solo per alcuni uomini, mentre per altri no. Quindi un’idea sana è un modello del mondo che però è lasciato aperto ad altre possibilità.
Un’idea bizzarra è una compulsione ripetuta, e mentre si ripete si conferma e si autogenera.
Ecco dunque il lavoro che Vicens presenta nel suo paragrafo, il potere terapeutico di cambiare un’idea bizzarra in una sana, cominciando dalla presa di coscienza di avere personalmente una credenza (o un sistema di credenze) e che vediamo il mondo sotto “il prisma” di tale credenza.
A tal proposito c’è una storiella che ci racconta, ed è quella del cadavere che va dal medico. Un uomo va dal medico e dice di essere un cadavere, il medico comincia a dirgli che non è possibile perché cammina, ma l’uomo continua con la sua idea; il medico allora gli dice che non è un cadavere perché parla e perché ha una famiglia, ma attraverso tale logica l’uomo continua nella sua credenza. Allora il medico attua una strategia e gli chiede se i cadaveri sanguinano e l’uomo risponde di, prende il paziente e gli fa un taglio con un bisturi. Quando i sangue comincia a sgorgare l’uomo urla:”Ahhh! si che noi cadaveri sanguiniamo!”
Questo per spiegarci che nonostante a volte la realtà ci dimostri il contrario, la nostra idea bizzarra continua ad essere presente e quindi ci dimostriamo più fedeli al nostro primo apprendimento che all’evidenza della realtà.
Dunque per avere tale cambio terapeutico è importante attuare ad un altro livello di coscienza. È quindi importante individuare una nostra idea bizzarra per poter partire da quella a lavorare.
La tecnica della “linea del tempo” ha una struttura molto semplice e richiama un po’ la tecnica della “hot seat”, perché questa linea del tempo viene immaginata per terra, ha due estremità alle quali corrispondono il passato ed il presente (estremità scelte dal paziente stesso), su cui il paziente si poe fisicamente per ripercorrere gli eventi che ricorda di aver vissuto nel tempo della sua vita.
Olivé ci tiene a precisare che una tecnica tanto semplice è anche molto potente in quello che può suscitare (proprio come la “hot seat”), ma la sua forza non la ritrova nella tecnica, piuttosto nell’impegno che la persona pone nel suo lavoro e nell’impegno di colui che accompagna il paziente nel lavoro. “Siamo noi che come persone rendiamo possibili grandi lavori” e non le tecniche utilizzate.
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